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Schizofrenia e le sue diverse forme

Schizofrenia e le sue diverse forme

Introduzione

La schizofrenia è un grave disturbo mentale cronico e invalidante, caratterizzato da un’ampia eterogeneità di sintomi che coinvolgono percezione, pensiero, affettività e comportamento. Tipicamente esordisce nella tarda adolescenza o prima età adulta e ha una prevalenza intorno allo 0,5-1% nella popolazione generale (Charlson et al., 2018). Clinicamente, i sintomi della schizofrenia vengono spesso distinti in positivi (come deliri e allucinazioni), negativi (come appiattimento affettivo e abulia) e disorganizzazione del pensiero e del comportamento (APA, 2013; Owen et al., 2016). Nonostante un quadro diagnostico unitario, la presentazione clinica può variare notevolmente da un paziente all’altro, sia per sintomatologia predominante sia per decorso e risposta ai trattamenti (Owen et al., 2016). Storicamente, per cogliere questa eterogeneità, la schizofrenia è stata suddivisa in diversi sottotipi clinici principali, basati sul quadro sintomatologico prevalente al momento della valutazione (American Psychiatric Association [APA], 2013). I cinque sottotipi “classici” descritti nel DSM-IV-TR e nell’ICD-10 erano: paranoide, disorganizzato (o ebefrenico), catatonico, indifferenziato e residuo. Queste categorie fornivano un modo per descrivere forme cliniche differenti del disturbo. Tuttavia, studi successivi hanno messo in dubbio la validità e l’utilità clinica di tali sottotipi, evidenziando una significativa sovrapposizione tra essi e una bassa stabilità diagnostica nel tempo (Owen et al., 2016; Mattila et al., 2015). Di conseguenza, le ultime classificazioni diagnostiche hanno eliminato i sottotipi come categorie distinte: il DSM-5 non include più questi sottotipi (APA, 2013) e analogamente l’ICD-11 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso la suddivisione in sottotipi (World Health Organization [WHO], 2019). Oggi la schizofrenia viene concettualizzata come un disturbo a spettro con diverse dimensioni di sintomi, piuttosto che come una somma di malattie separate. Nonostante ciò, i termini dei sottotipi classici restano utili in ambito descrittivo per delineare il quadro predominante di un paziente. Di seguito vengono presentate le caratteristiche principali di ciascuna forma di schizofrenia.

Schizofrenia paranoide

La schizofrenia paranoide era il sottotipo più comunemente diagnosticato prima dell’introduzione del DSM-5 (APA, 2013). È caratterizzata dalla netta predominanza di sintomi positivi, in particolare deliri (spesso a tema persecutorio o di grandezza) e allucinazioni uditive, in un contesto di relativo mantenimento dell’organizzazione del pensiero e della personalità. Il paziente paranoide tipicamente presenta convinzioni deliranti strutturate e coerenti, ad esempio di essere vittima di complotti o sorveglianza, che possono determinare elevata diffidenza e comportamento ostile o difensivo. Le allucinazioni (in genere voci) spesso commentano il comportamento del paziente o gli impartiscono ordini. Al contrario di altri sottotipi, nella forma paranoide l’eloquio e il comportamento possono risultare meno disorganizzati e l’affettività relativamente conservata. In alcuni casi l’esordio dei sintomi paranoidi avviene in età leggermente più avanzata rispetto ad altri tipi di schizofrenia, con un miglior funzionamento premorboso. Dal punto di vista prognostico, i pazienti con predominanza di sintomi paranoidi tendevano ad avere una risposta relativamente buona ai farmaci antipsicotici e una migliore capacità di mantenere attività lavorative e relazioni rispetto ad altri sottotipi (Mattila et al., 2015).

Schizofrenia disorganizzata (ebefrenica)

La schizofrenia disorganizzata, detta anche ebefrenica, è dominata da una marcata disorganizzazione del pensiero e del comportamento. In questo sottotipo i sintomi positivi (deliri e allucinazioni) possono essere presenti ma frammentari e poco coerenti, mentre prevalgono i sintomi di disorganizzazione e i sintomi negativi. Tipicamente si riscontra un eloquio gravemente disorganizzato (fino alla cosiddetta “insalata di parole”) e un comportamento bizzarro o inappropriato, che rende difficile al paziente svolgere le normali attività quotidiane. L’affettività appare appiattita oppure inadeguata al contesto (ad esempio riso immotivato durante eventi tragici). Il paziente può mostrare scarsa cura di sé e dell’igiene personale. La schizofrenia disorganizzata tende ad esordire in età più precoce (fine adolescenza) e spesso è associata a un decorso più ingravescente, con marcato deterioramento funzionale. Prima della revisione dei criteri, questo sottotipo era diagnosticato in pazienti il cui quadro era dominato da confusione e comportamento disorganizzato, senza un tema delirante o persecutorio centrale. Data la natura pervasiva della disorganizzazione cognitiva ed emotiva, la forma ebefrenica è tradizionalmente associata a una prognosi sfavorevole, con risposta ai trattamenti spesso meno soddisfacente rispetto alla forma paranoide (Owen et al., 2016).

Schizofrenia catatonica

La schizofrenia catatonica si caratterizza principalmente per profonde anomalie della motilità e del comportamento motorio. I pazienti in fase catatonica possono presentare periodi di stupor (immobilità e mutacismo quasi totali) alternati a fasi di eccitamento catatonico (agitazione motoria intensa e apparentemente priva di scopo). Sono frequenti fenomeni come il negativismo (resistenza immotivata ai movimenti o alle istruzioni), le posture o posizioni corporee rigide mantenute a lungo, la flessibilità cerea (gli arti restano nella posizione in cui vengono posti da qualcun altro) e comportamenti di ecolalia ed ecoprassia (ripetere parole o movimenti altrui). Non di rado, durante uno stupor catatonico, il paziente può rimanere immobile in posizioni scomode per lungo tempo, insensibile agli stimoli esterni, il che può portare a complicanze mediche. Altre volte possono manifestarsi ripetizioni stereotipate di azioni o frasi. La catatonia era un quadro relativamente comune nelle epoche pre-terapia antipsicotica, mentre oggi si osserva più raramente, anche perché i sintomi catatonici possono comparire anche in altri disturbi (come depressione maggiore o disturbo bipolare) e vengono trattati a parte. Nei moderni sistemi diagnostici, la catatonia è considerata uno specificatore che può accompagnare la schizofrenia (o altre condizioni), più che un sottotipo separato (WHO, 2019). Il riconoscimento del sottotipo catatonico è comunque clinicamente importante, poiché questi pazienti possono beneficiare di interventi mirati (ad esempio benzodiazepine o terapia elettroconvulsivante) oltre ai comuni antipsicotici.

Schizofrenia indifferenziata

La schizofrenia indifferenziata era una categoria diagnostica di esclusione, utilizzata quando un paziente soddisfaceva i criteri per la schizofrenia ma il quadro clinico non rientrava chiaramente in uno degli altri sottotipi specifici. In altre parole, veniva diagnosticata schizofrenia indifferenziata quando coesistevano sintomi diversi (ad esempio alcuni elementi paranoidi insieme a marcati segni di disorganizzazione) senza che uno prevalesse nettamente, oppure quando i sintomi erano troppo atipici per essere classificati altrove. Questo sottotipo riconosceva la realtà che molti pazienti presentavano un insieme misto di manifestazioni psicotiche. Clinicamente, un quadro indifferenziato poteva evolvere verso un sottotipo più definito nel tempo oppure mantenersi eterogeneo. Con la scomparsa dei sottotipi nel DSM-5, la dicitura “indifferenziata” non viene più utilizzata, ma il concetto persiste implicitamente nel riconoscere che la schizofrenia spesso include una combinazione di sintomi diversi (APA, 2013).

Schizofrenia residua

La schizofrenia residua indicava la fase in cui, dopo uno o più episodi psicotici acuti, il paziente non manifestava più sintomi produttivi importanti ma permaneva una sintomatologia attenuata o residua. In questo sottotipo i deliri e le allucinazioni erano assenti o molto lievi, mentre potevano persistere segni minori di pensiero delirante, eccentricità comportamentali o modesti disturbi percettivi. Soprattutto, erano tipici i sintomi negativi cronici come l’appiattimento dell’affettività, l’alogia (povertà di linguaggio) e il ritiro sociale. Ad esempio, un paziente in fase residua può conservare convinzioni bizzarre lievi o qualche idea paranoide vagamente espressa, senza però episodi di psicosi floride. La diagnosi di schizofrenia residua veniva posta quando un paziente aveva storicamente soddisfatto i criteri per schizofrenia (in passato) ma attualmente il quadro era dominato da sintomi residui e non da sintomi attivi di rilievo. Questo concetto è affine a quello di “remissione parziale” o fase cronica stabilizzata del disturbo. Nella pratica clinica odierna, il termine residuo è usato meno frequentemente come etichetta diagnostica separata, ma rimane utile per descrivere pazienti schizofrenici che, grazie al trattamento, si trovano in una fase di relativo compenso sintomatologico pur con persistenti deficit funzionali.

Conclusioni

In conclusione, la schizofrenia si manifesta in forme cliniche molto diverse tra loro. I sottotipi paranoide, disorganizzato, catatonico, indifferenziato e residuo rappresentano categorie descrittive che storicamente hanno aiutato i clinici a inquadrare la varietà delle presentazioni del disturbo. Le ricerche più recenti, però, hanno evidenziato che questi sottotipi non corrispondono a entità patologiche nettamente distinte, avendo confini sfumati e scarsa utilità nel prevedere l’evoluzione o nel guidare trattamenti differenziati (Owen et al., 2016; Mattila et al., 2015). Per questo, la tendenza attuale è considerare la schizofrenia come uno spettro unitario con diverse dimensioni sintomatologiche, piuttosto che come una somma di malattie diverse (APA, 2013; WHO, 2019). Questo approccio più integrato è alla base sia del DSM-5 che dell’ICD-11 moderni. Ciò non toglie che riconoscere le forme cliniche predominanti in un dato paziente resti importante in sede valutativa e terapeutica: ad esempio, un quadro prevalentemente catatonico richiede un approccio specifico, così come la presenza di marcati sintomi paranoidi può orientare l’alleanza terapeutica e la gestione del rischio. In futuro, la ricerca potrebbe identificare sottotipi basati su biomarcatori o profili cognitivi con maggiore validità, ma attualmente la classificazione della schizofrenia privilegia una visione dimensionale e personalizzata del disturbo.

Riferimenti bibliografici

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Washington, DC: Author. Charlson, F. J., Ferrari, A. J., Santomauro, D. F., et al. (2018). Global epidemiology and burden of schizophrenia: findings from the global burden of disease study 2016. Schizophrenia Bulletin, 44(6), 1195–1203. Mattila, T., Koeter, M., Wohlfarth, T., Storosum, J., van den Brink, W., de Haan, L., Derks, E., Leufkens, H., & Denys, D. (2015). Impact of DSM-5 changes on the diagnosis and acute treatment of schizophrenia. Schizophrenia Bulletin, 41(3), 637–643. Owen, M. J., Sawa, A., & Mortensen, P. B. (2016). Schizophrenia. The Lancet, 388(10039), 86–97. World Health Organization (2019). International Classification of Diseases, 11th Revision (ICD-11). Geneva: World Health Organization.

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